RI-VEDERSI
di Eleonora Bona
testo critico di Mattia Cleri Polidori
a cura di Simone Marsibilio
Dal 14-12-2025 al 11-01-2026
Opening 14 Dicembre 2025
INGRESSO LIBERO
/f urbä/
Via Tripio 145,
Guardiagrele (CH)
testo critico di Mattia Cleri Polidori
a cura di Simone Marsibilio
Dal 14-12-2025 al 11-01-2026
Opening 14 Dicembre 2025
INGRESSO LIBERO
/f urbä/
Via Tripio 145,
Guardiagrele (CH)
| RI-VEDERSI |
mostra personale di Eleonora Bona
testo critico di Mattia Cleri Polidoro
a cura di Simone Marsibilio
L’esposizione ri-vedersi presenta il più recente ciclo di opere di Eleonora Bona, dedicato all’indagine del rapporto tra memoria, immagine e rappresentazione. L’artista concentra la propria ricerca su materiali fotografici d’archivio eterogenei come album familiari dispersi, fotografie anonime, fondi privati e reperti visivi casuali trasformandoli, attraverso la pratica pittorica, in nuovi dispositivi di narrazione.
Il lavoro di Bona si distingue per l’attenzione ai momenti marginali e ai dettagli che sfuggono alla documentazione storica tradizionale. Le sue opere non celebrano eventi eminenti né ricorrono a strategie illustrative: si collocano piuttosto in un territorio in cui l’immagine diventa luogo di rielaborazione, esperienza estetica e ridefinizione del visibile. La pittura interviene come strumento di sintesi e sottrazione, restituendo all’immagine una dimensione essenziale, libera da orpelli e aperta alla partecipazione interpretativa dello spettatore.
La rimozione di elementi riconoscibili e la riduzione della definizione visiva non sono meri espedienti formali, ma modalità attraverso cui l’artista interroga la natura stessa del ricordo. Così la fotografia, attraverso la pittura, perde il carattere documentario e riattiva un sistema di relazioni estetiche che dal passato si proiettano nel presente. Anche quando le immagini originano da esperienze vissute, l’operazione dell’artista introduce una distanza che rende l’opera equidistante dall’autrice e dal pubblico, favorendo una lettura condivisa e non biografica.
In ri-vedersi, questo processo si intensifica: le fonti, spesso casuali e fortuite, vengono selezionate non per la loro rilevanza storica, ma per la loro capacità di generare nuove possibilità narrative. L’artista assume così il ruolo di un archivista atipico: non orientato alla classificazione, ma alla preservazione di tracce minori, restituendo valore a ciò che altrimenti resterebbe invisibile. Ne deriva un archivio inteso non come deposito, ma come spazio dinamico di memoria emotiva e di riconfigurazione identitaria.
Il titolo ri-vedersi allude a un duplice gesto: rivedere un’immagine e, insieme, ritrovare un rapporto con ciò che sembrava perduto. Le opere invitano lo spettatore a riattivare lo sguardo, a ricostruire autonomamente narrazioni latenti e a confrontarsi con forme di presenza che la fotografia aveva registrato ma non preservato. In questo senso, la pratica di Eleonora Bona si inserisce nel dibattito contemporaneo sul diritto di apparire e sulla funzione sociale delle immagini.
Riprendendo le parole di Susan Sontag, secondo cui “fotografare è un modo per appropriarsi della cosa fotografata”, l’artista sembra rispondere che dipingere una fotografia è un modo per restituirle voce, umanità e possibilità di essere nuovamente interpretata.
ri-vedersi invita dunque a riflettere sulla memoria come processo attivo, sul ruolo dell’arte nella sua rielaborazione e sulla necessità di uno sguardo più attento verso ciò che la storia tende a omettere.
Biografia
Nata a Milano nel 1996, vive e lavora a Roma.
Nel 2021 consegue il diploma di II livello in Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Roma, in seguito a un periodo di studio presso VŠVU/AFAD a Bratislava nel 2020.
Nel 2023 fonda insieme ad altri cinque artisti l’artist-run space Rione Placido nel quartiere Pigneto, a Roma. Dal 2024 insegna Discipline grafiche e pittoriche al liceo.
Nel 2024 inaugura la sua prima personale, Miramare, presso Rione Placido.
Tra le mostre collettive a cui ha partecipato si ricordano: Sei. Antologia del sufficiente, a cura di Laura Catini presso Rione Placido, Roma (2025), Il cielo è nel ghiaccio, a cura di Greta Alberta Tirloni presso Kou Gallery, Roma (2024), Inarrestabili latitudini nell’era dell’Antropocene a cura di Greta Alberta Tirloni presso Rione Placido, Roma (2023), Affinità Elettive presso Rione Placido, Roma (2023), Take Care presso Fondazione 107, Torino (2021), XXXII edizione del Porticato Gaetano presso la Pinacoteca Comunale A. Sapone di Gaeta (2020, 2021), Le Sedie Vuote presso la Fondazione Museo della Shoah di Roma (2018), SAVEBiennale presso il Museo Vittoria Colonna di Pescara (2018), TinyBiennale presso la Temple University di Roma (2017).
[..] ri-vedersi non è soltanto guardarsi di nuovo.
È riconoscersi dopo l’assenza, è esistere nel ricordo di qualcun altro.
Attraverso l’atto pittorico, Eleonora Bona restituisce corpo e memoria a fotografie d’archivio che non si appartengono - che hanno lasciato i loro legami perché libere - e proprio per questo parlano di tutti noi.
Il verbo rivedere si contiene di un atto, affettivo, e del tempo: c’è il passato e il presente dello sguardo che torna. Rivedersi è guardare ancora. Ma anche ritrovarsi, riconoscersi o mancare all’appuntamento.
Il titolo della mostra, ri-vedersi, si compone in un gesto: può voler dire ritrovarsi dopo essere stati dimenticati, oppure apparire per la prima volta in uno sguardo.
Questo progetto nasce dal desiderio di offrire un nuovo sguardo a immagini perdute, come se la pittura potesse azionare un nuovo racconto e farsi restituzione e riparazione.
Eleonora Bona mostra il suo gesto più radicale: non copia, ma ascolta. Ogni opera esposta prende origine da una fotografia. Ma non per imitare ciò che vede.
Lei prende dettagli minimi, da fotografie e le attraversa con la pittura come si attraversa un ricordo, lentamente e con cura. I particolari diventano varchi attraverso cui il passato torna a chiedere spazio nel presente. Dove gli oggetti e le persone, tutto quello che viene dipinto diventa una fessura da cui il passato chiede di essere ricordato e riconosciuto.
Quei varchi sono luoghi soglia, che riportano indietro nel tempo, facendo rivivere non solo il proprio tempo ma “al tempo di qualcun altro”, ad inventare una storia, a dialogare con il suo vestito, i suoi colori, con le sue movenze e infine farne parte. Ma ri-vedersi è essere visti di nuovo, da nuovi occhi.
Sii gentile con un archivista: potrebbe cancellarti dalla storia. Questa frase, ironica e innegabilmente vera, ci ricorda che la storia non è ciò che è accaduto, ma ciò che è stato conservato.
Le immagini che alimentano la mostra ri-vedersi sono tratte da fonti ibride: album familiari trovati, archivi, mercatini, scatole anonime. Ogni fonte è riportata da Eleonora Bona come se con sé si fosse costruita una microstoria invisibile.
Difatti l’archivista, spesso invisibile, nella storia di tutti i giorni, decide chi resta e chi sparisce. In questo progetto, invece, è l’artista stessa che si fa archivista anomala: poiché non classifica, ma salva. Non nasconde, ma esalta l’irrilevante (per chi?), il marginale, il dimenticato.
E allora il gesto pittorico diventa un atto di memoria affettiva: ogni tela, ogni ritratto ri-creato da una fotografia diviene documento poetico che reclama spazio per esistenze non celebrate.
In tal caso, l’archivio non è più solo un deposito ma campo di possibilità emotive e luogo della giustizia visiva.
Il linguaggio di Eleonora si concentra sul diritto di apparire, sul potere dello sguardo e sulla possibilità che la pittura possa restituire umanità, a chi la fotografia ha registrato ma dimenticato. In un’epoca che archivia tutto e ricorda poco, questo lavoro ci chiede di essere più gentili con chi conserva e più coraggiosi nel rivedere.
Vi è un gesto d'amore verso ciò che resta invisibile, verso tutte le immagini che ancora ci guardano, in attesa di essere guardate di nuovo. Citando le parole di Susan Sontag tratte dal saggio Sulla fotografia, “fotografare è un modo per appropriarsi della cosa fotografata”, potremmo concludere che “dipingere quella fotografia è un modo per restituirle la possibilità di parlare”.
Simone Marsibilio
a cura di Simone Marsibilio
Dal 21-09 al 09-11-25
Opening 21 Settembre 2025
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su orari e il programma degli eventi collaterali
INGRESSO LIBERO
/f urbä/ BOCCA DI VALLE
Via Tripio 145, Loc. Bocca di Valle, n°67.
Guardiagrele (CH) Guardiagrele (CH)
[..] parla del nostro essere mai fermi.
/f urbä/ presenta il progetto degli autori – fotografi Simone Cerio e Iacopo Pasqui, dal titolo Perenni ospiti.
La mostra Perenni ospiti è un viaggio fotografico che nasce dall’incontro dei due autori, Simone Cerio e Iacopo Pasqui, chiamati a interrogarsi sul tema della presenza e del movimento. L’esposizione propone un racconto corale sul nostro essere costantemente in transito: mai del tutto fermi, sempre capaci di trasformare i luoghi che attraversiamo.
L’esposizione che si terrà a Guardiagrele, dal 21 Settembre al 9 Novembre 2025, nello spazio progettuale /f urbä/ a cura di Simone Marsibilio, si compone di una visione per immagini nella quale i due fotografi hanno indagato sulla e nella fotografia mettendo nello stesso piano tutti i processi, dandone eguale peso specifico. In questa occasione, il processo come punto di partenza ha portato relazione tra alcune fotografie (opere d’archivio) e i luoghi (abitazioni private nel quale i fotografi hanno avuto modo di conoscere e rapportarsi con i proprietari). Difatti, alcune opere degli autori che sono state mezzo di approfondimento di processo nella relazione tra spazio e fotografia, per arrivare poi alla fotografia finale, saranno presenti in un altro luogo, specificamente nella residenza Bocca di Valle sempre situata a Guardiagrele. Questo luogo sarà visitabile su appuntamento, oltre ad essere luogo di eventi correlati nel corso della mostra Perenni ospiti a /f urbä/.
Il progetto prende spunto dalla parola celebrare, la cui etimologia rimanda non soltanto all’idea di onorare ma soprattutto a quella di frequentare, affollare, dare vita a uno spazio. Celebrare significa rendere straordinario ciò che ordinario non sarebbe, grazie alla partecipazione e alla condivisione. La fotografia, in questa prospettiva, diventa un atto di presenza che anima i luoghi, li trasforma e li rende memoria.
Cerio e Pasqui affrontano questo tema con linguaggi differenti ma complementari. Le loro immagini non si limitano a documentare: cercano relazioni, tracciano connessioni tra persone e ambienti, tra oggetti ed essenze, tra intimità e collettività. Le fotografie stesse diventano ospiti, viaggiatori temporanei che abitano lo spazio della mostra con la stessa precarietà e intensità con cui i corpi attraversano la vita quotidiana.
Per Iacopo Pasqui, la fotografia è uno strumento vicino all’effimero. La sua ricerca si concentra sulle piccole cose del quotidiano, su ciò che sembra sfuggire ma custodisce memoria. La sua attenzione verso lo spazio domestico, verso l’attesa e la sospensione, restituisce immagini intime, capaci di raccontare fragilità e permanenze.
Per Simone Cerio, invece, la fotografia è un linguaggio che dialoga con l’attualità e con la cronaca. Fotogiornalista e autore di reportage, Simone affronta la fotografia come mezzo di indagine sociale, capace di mettere in luce dinamiche nascoste, conflitti e relazioni umane. La sua ricerca parte da accadimenti concreti ma li supera, restituendo immagini che si aprono a una dimensione poetica e universale.
Ciò che unisce i due autori è la volontà di interrogarsi sul senso stesso della fotografia oggi.
A cosa serve, se non a costruire legami, a riempire temporaneamente lo spazio e a trasformarlo in esperienza condivisa? Le loro strade, pur diverse, si incontrano in questa domanda fondamentale, trovando nella mostra la possibilità di un dialogo che intreccia spiritualità e quotidianità, intimità e collettività, attesa e movimento.
A cura di Simone Marsibilio, Perenni ospiti si propone come un percorso che invita a rallentare e a osservare. Non si tratta soltanto di guardare delle fotografie, ma di vivere un’esperienza: entrare in relazione con le immagini, con lo spazio che abitano e con le storie che evocano.
La mostra diventa così una riflessione sul tempo che viviamo, frenetico e incapace di soffermarsi sul presente, e insieme un invito a riscoprire il valore delle relazioni che ci attraversano. In questo modo le fotografie si fanno celebrazione: atti fugaci carichi di memoria, condivisioni che si dissolvono nel tempo ma restano nella coscienza.
Biografia
Simone Cerio è un fotografo documentarista italiano, specializzato in progetti a lungo termine. Il filo che lega i suoi lavori è il tema della spiritualità e delle disuguaglianze sociali e politiche, attraverso l’uso di uno story-telling estremamente intimo. La sua pratica è incentrata sul rapporto tra antropologia e arte, documentazione e ricerca, in quegli spazi in cui risiedono piccole comunità, spesso inaccessibili, i cui membri lottano per sopravvivere, abbandonandosi allo stesso tempo a uno stato di lirismo. L'approccio visivo offerto da Simone è spesso incentrato su storie che hanno una valenza prima documentativa sull'attualità, ma con una forte accezione interpretativa, al limite della performance. L’unione di entrambe le visioni vuole generare uno spazio di confronto in cui i termini “indagine”, “ricerca”, “archivio” diventino pian piano caratteristiche distintive di ogni progetto. Conosciuto soprattutto per la sua ricerca sulle comunità LGBT credenti, intitolata RELIGO, e il lavoro sul tema dell’assistenza sessuale per persone disabili, LOVE GIVERS. Progetti che gli valgono premi internazionali tra cui il Wellcome Photography Prize nella categoria “Hidden Worlds” e il Premio Umane Tracce. Collabora costantemente con Ong, Enti e Istituzioni su progetti di sensibilizzazione, ha esposto i suoi lavori in Italia e all’estero e le sue opere sono presenti in mostre permanenti e collezioni private. È anche direttore creativo di CONTESTO, un’agenzia italiana specializzata in comunicazione di progetti culturali.
Simone Cerio. www.simonecerio.com
Iacopo Pasqui nasce a Firenze nel 1984. E’ un fotografo specializzato in fotografia Fine Art e di documentazione. Ha vinto numerosi premi e concorsi, tra cui: Strategia Fotografia 2023 e Italian Council 2023, entrambi promossi dal MiC; Giovane Fotografia Italiana #07 al Festival di Fotografia Europea nel 2019. E’ membro dei Future Talents Photographers dal 2019. Ha vinto il Leica Talent 24x36 e il concorso Panorami Contemporanei e Luoghi in Trasformazione - Residenze di Fotografia in Italia, promosso da MiBACT e GAI (2017). E’ tra i fotografi inseriti nel volume Storia della fotografia in Italia. Dal 1839 ad oggi di G.D’Autilia (Einaudi, Torino 2021). Le sue opere fanno parte della collezione della Fondazione Musei Civici di Reggio Emilia. Nel 2024 ha pubblicato il suo ultimo libro Der Engel (Witty Books/19Rivers, Torino/Lodz). Ha pubblicato e collaborato con istituzioni pubbliche e private, come: ICCD, MiC, IIC Londra, IIC Stoccolma, Istituto della Enciclopedia Italiana G.Treccani, Fondazione Musei Civici di Reggio Emilia, GAI e altri. Ha pubblicato per case editrici, giornali e riviste, quali: Einaudi, l’Espresso, Financial Times, Frankfurter Allgmeine Quarterly, Der Zeit Magazine, Atmos, Volks, Volkstrant Magazine, Internazionale, D di Repubblica ed altri. E’ rappresentato dall’archivio tedesco Connected Archive con sede a Berlino.
Iacopo Pasqui. www.iacopopasqui.it
PERENNI OSPITI a /f urbä/ di Simone Cerio e Iacopo Pasqui
PERENNI OSPITI a /f urbä/
Simone Cerio e Iacopo Pasqui
a cura di Simone Marsibilio
[..] parla del nostro essere mai fermi.
Perenni ospiti è una riflessione sulla presenza e sul movimento, sul nostro essere costantemente in viaggio senza mai radicarci del tutto, ma sempre capaci di trasformare i
luoghi che attraversiamo.
Da qui prende forza la parola “celebrare”, che affonda le sue radici nell’etimologia latina legandosi al concetto di affollare, frequentare (un luogo), ma anche a quello di onorare, festeggiare, rendere noto. In origine, il termine racchiudeva l’idea di riunire presenze per trasformare un evento, un posto in qualcosa degno di nota, attraverso la partecipazione collettiva (celeber, infatti, indica ciò che è molto frequentato e per questo rinomato).
In questa prospettiva, nel celebrare non solo rendiamo omaggio ma letteralmente compiamo un atto di presenza che riempie: ovvero trasforma uno spazio, animandolo di vita e relazioni. È l’affollamento temporaneo che dona significato, rendendo straordinario ciò che, senza tale partecipazione, rimarrebbe ordinario.
Il progetto fotografico Perenni ospiti nasce da questa riflessione: esplorare e raccontare il senso della presenza come celebrazione effimera e mutevole. Iacopo Pasqui e Simone Cerio catturano, attraverso il proprio linguaggio visivo, l’interazione – organica e inorganica – che anima luoghi privati. Le fotografie non si limitano a documentare, ma traggono dal reale un processo, concentrandosi sulle relazioni: tra le persone, tra figure e spazi, tra oggetti ed essenze. Le immagini stesse diventano ospiti, migranti, riflettendo l’idea di un cammino perpetuo, e si fanno parte integrante della quotidianità di chi le accoglie.
In questo progetto, gli autori lavorano con approcci diversi legati da una stessa attitudine. Ciò che li unisce è un processo non macchinoso, nato dall’affidamento di una parola come compito, come messaggio. Da qui, per loro, si è aperta una ricerca matura che ha toccato la spiritualità, la sacralità, lo spazio e il ritratto, nella relazione tra spazio e attesa. Il percorso che ne è emerso è insieme personale e condiviso, e apre a domande più ampie: cosa significa oggi fare comunità? Dove e cosa celebriamo? Nelle mura di una casa, in una piazza, in una città, o in una comunità globale? In queste domande si incontra il legame tra i due autori e da qui le loro strade si distinguono, ognuna con il proprio sguardo.
In questa mostra l’obiettivo è raccontare come i fotografi hanno lavorato, e quale poetica inseguono. Per Iacopo, la fotografia è vicina all’effimero, alle piccole cose del quotidiano, a ciò che sfugge ma custodisce memoria. Per Simone, la fotografia è invece lo strumento che indaga ciò che accade, intrecciandosi con la cronaca e l’attualità. Pongono una domanda semplice e radicale: a cosa serve oggi la fotografia? Da qui la mostra diventa anche un’indagine sul mezzo stesso, sui suoi limiti e sulle sue possibilità.
Poiché la fotografia è il mezzo nonché il binario da percorrere: non soltanto un modo per guardare, ma un modo per interrogarci su noi stessi. Indagare la parola celebrare significa allora chiedersi perché questo termine sembri mancare nel nostro tempo. Se fotografiamo qualcosa dentro una casa, ci riguarda davvero? Siamo in relazione con essa? Come viviamo lo spazio interno: come nido, prigione o scoperta?
La dimensione documentale della fotografia si affievolisce, così come la curiosità che la sostiene.
Per questo la mostra vuole stimolare un cammino dentro le immagini e sulla fotografia stessa, attraverso i linguaggi paralleli e complementari dei due autori. A questo proposito, il progetto si traduce in un’esposizione fotografica che rappresenta il principio di un racconto, cogliendone il concetto dal punto di vista umano e poetico, professionale e spontaneo. Le opere sono viaggiatori, perenni ospiti o traslocanti temporanei in luoghi scelti: dove le stanze, i luoghi, gli spazi di luce incarnano la filosofia sottesa alle immagini.
Il processo è un modo per entrare nell’intimità delle persone e dei luoghi, raccontando con cautela, gentilezza e una maturità che si traduce in consapevolezza poetica. La chiave di lettura del progetto è nel tempo: il tempo che viviamo, frenetico, capace di coprire la nostra attenzione al quotidiano e alle piccole cose. Gli occhi dei fotografi producono stratificazioni relazionali, fermano un momento di pienezza, allusivo nel suo essere costruito, perché fatto per ricordare. Susan Sontag, nel saggio Sulla fotografia, riporta il concetto di costruzione culturale e al tempo stesso di reliquia emotiva, evidenziando l’ambivalenza tra documento e finzione, memoria e messa in scena. In questo modo si riesce a descrivere la fotografia come qualcosa che trattiene un “ciò è stato”, qualcosa di irrimediabilmente connesso al tempo, alla relazione e alla perdita. Roland Barthes, invece, distingueva tra lo studium, sapere culturale e interesse generale, e il punctum, quella ferita che colpisce personalmente, scintilla emotiva che si fa memoria.
Così l’atto fugace è celebrativo, divenendo condivisione che si dissolve nel tempo e non nella memoria. Quel che avviene è un riempimento temporaneo che dà vita e muta, rendendo visibile l’invisibile, per riflettere sull’importanza del presente e delle relazioni che animano il nostro passaggio. La fotografia, poeticamente e praticamente, si pone allora come strumento per ritrovare una dimensione di meraviglia nelle piccole cose quotidiane (come ricordava Luigi Ghirri), sospendendo la frenesia e costruendo immagini che siano relazioni, prima ancora che semplici documenti.
PERENNI OSPITI a BOCCA DI VALLE di Simone Cerio e Iacopo Pasqui
PERENNI OSPITI a BOCCA DI VALLE
Simone Cerio e Iacopo Pasqui
a cura di Simone Marsibilio
[..] parla del nostro essere mai fermi.
Perenni Ospiti è un progetto che riflette sul nostro essere sempre in viaggio, temporanei nei luoghi che abitiamo, eppure capaci di trasformarli con la nostra presenza. È un’indagine sul senso della celebrazione: non come gesto retorico, ma come atto di presenza che anima uno spazio, lo riempie di relazioni, lo trasforma in qualcosa di vivo.
A Bocca di Valle questa ricerca trova una forma speciale. Il luogo stesso è già soglia e passaggio: un confine che si apre allo sguardo, uno spazio che invita a pensare all’idea di evasione. Qui le opere di Iacopo Pasqui e Simone Cerio dialogano tra loro e con le case che li hanno accolti, offrendo due prospettive diverse ma complementari: l’evasione orizzontale di Iacopo e la verticalità sacra di Simone.
Per Iacopo Pasqui, il punto di partenza è stato un pensiero semplice: “da Guardiagrele si vede anche il mare”. Un mare lontano, percepito ma assente, che diventa traccia simbolica dell’orizzonte mancante nella serie a Bocca di Valle, dove il blu e l’azzurro segnano tre modi diversi di far entrare il mare nelle mura domestiche: come soglia tra dentro e fuori, come corpo immaginato e desiderato, come luce notturna che si trasforma in faro. Le fotografie oscillano tra interno ed esterno, intimità e apertura, rivelando un mare interiore che abita gli spazi e le vite quotidiane. Sono esposte tre immagini, tutte unite da questo filo blu, simbolo di evasione: una scattata in Africa porta con sé il ricordo di cieli e mari lontani, imprigionati dentro le pareti della sala; un’altra restituisce un corpo immaginato e desiderato, dove il blu si intreccia al rosso della passione trasformando l’assenza in presenza; la terza offre una visione notturna del mare, con la luna che diventa faro e approdo, evocando atmosfere cinematografiche e trasformando la notte in un viaggio interiore.
Per Simone Cerio, la parola celebrare significa guardare al bisogno umano di alzare lo sguardo, di cercare un contatto con il sacro, tanto nelle case e nella vita quotidiana quanto nei grandi eventi collettivi che hanno segnato la nostra storia, come il funerale di Papa Francesco o i pellegrinaggi a Roma. La sua ricerca si muove tra quotidiano e sacro, tra intimità e dimensione collettiva, alla ricerca di una verticalità che trasforma la presenza in celebrazione. A Bocca di Valle sono esposte tre immagini che incarnano questa tensione: un bambino in estasi davanti a una Macarena durante la Semana Santa di Siviglia, la seconda festa cristiana più grande del mondo, dove meraviglia e devozione si fondono; il ritratto blu di un ragazzo nel quartiere San Cristoforo di Catania, che restituisce il sacro e la presenza emotiva anche negli spazi più comuni; e infine l’albero rosso vicino Drapia, in Calabria, luogo in cui Gesù sarebbe apparso diciotto volte, simbolo della forza del sacro che si manifesta nella natura e nella storia. In queste immagini, il gesto, il colore e lo sguardo diventano strumenti per mostrare come il sacro possa abitare sia i grandi eventi sia le pieghe più intime della vita quotidiana.
Ecco allora che, qui a Bocca di Valle, questi due sguardi si intrecciano. Da una parte l’evasione: il dentro e fuori che si rispecchiano dove il blu è promessa di un altrove. Dall’altra la verticalità: il sacro che si innesta nel quotidiano e trasforma la presenza in celebrazione. Insieme ci invitano a riflettere su cosa significhi oggi abitare un luogo, sentirsi parte di una comunità, cercare orizzonti nuovi.
Le fotografie stesse diventano perenni ospiti: presenze che entrano nelle case, che abitano per un attimo e poi ripartono, lasciando dietro di sé tracce di intimità e di sacro, di apertura e di evasione.
a cura di Simone Marsibilio
Dal 08-06 al 13-07.25
in collaborazione con la Galleria Mimmo Scognamiglio
Opening 08 Giugno 2025 dalle ore 11.00 alle 20:00
Orari apertura: sabato e domenica 11-13 17-20
/f urbä/
Via Tripio 145, Guardiagrele (Ch)
“Il quotidiano si trasforma in un grande palcoscenico, il teatro dell’ordinario in cui ogni gesto, oggetto o simbolo assume un significato nuovo, inatteso”
Con questo incipit si apre “Il teatro dell’ordinario. Tra il rito e il gioco”, mostra personale dell’artista Evgeniya Pankratova, a cura di Simone Marsibilio, ospitata nello spazio espositivo /f urbä/ a Guardiagrele, dal 8 Giugno al 13 Luglio 2025, in collaborazione con la Galleria Mimmo Scognamiglio di Milano.
La mostra esplora la poetica dell’artista russa, da sempre interessata alla trasformazione del banale in straordinario, attraverso un linguaggio che intreccia pittura, installazione e oggetto scenico. I lavori in mostra danno vita a un “teatro muto”, fatto di gesti semplici, ripetizioni quotidiane, luci e ombre, in cui ogni elemento si carica di un significato simbolico, mitico, spirituale.
Evgeniya Pankratova costruisce scenografie silenziose in cui il familiare incontra il mistero, e il gioco diventa forma di rito. Oggetti come tessuti, fiori, figurine medievali o pianeti giocattolo si dispongono nello spazio con leggerezza e gravità, in un equilibrio sottile tra costruzione e spontaneità. Ogni opera si configura come una stanza narrativa, una soglia visiva tra realtà e immaginazione.
Il progetto si interroga sulla dimensione del gesto, sulla sua ripetizione e sulla sua carica archetipica. I lavori si offrono come spazi contemplativi, in cui la pittura – fatta di stratificazioni e riflessi – invita lo spettatore a rallentare lo sguardo, a scoprire la magia celata nei dettagli del vivere quotidiano.
Come scrive il curatore Simone Marsibilio: questo teatro dell’ordinario è un invito a guardare con occhi nuovi, in una nuova meraviglia. Ci ricorda che la dinamicità di un atto, per quanto piccolo e ripetitivo, ha significato, storia e poesia.
| il teatro dell’ordinario. Tra il rito e il gioco |
di Evgeniya Pankratova
a cura di Simone Marsibilio
Nelle opere di Evgeniya Pankratova il quotidiano si trasforma in un grande palcoscenico: è il teatro dell’ordinario in cui ogni gesto, oggetto o simbolo assume un significato nuovo, inatteso. È un teatro muto, fatto di atti semplici – piegare un tessuto, accostare oggetti, osservare la luce che accarezza una superficie – che tuttavia si caricano di una potenza semantica universale. Qui il banale diventa straordinario, il noto si tinge di mistero e ogni frammento della quotidianità si rivela parte di un rito.
Questo teatro non si limita a rappresentare il mondo: lo riscrive, scena dopo scena, atto dopo atto. L’artista costruisce vere e proprie scenografie dove lo spazio si anima di tensioni sottili tra il visibile e l’invisibile, il familiare e il mitico. Soggetti come pianeti giocattolo, tessuti, fiori, stelle e figurine medievali si dispongono come attori su un palcoscenico simbolico. Qui il gioco si intreccia con il rito: gli oggetti vengono disposti, mossi, accostati in una dinamica che oscilla tra costruzione e spontaneità, tra significato e leggerezza. Ogni elemento è carico di una duplice natura: reale e immaginario, concreto e simbolico, tangibile e spirituale.
Le azioni e fatti abituali, spesso trascurati nella frenesia del vivere, si elevano in questa narrazione visiva a riti silenziosi, in cui il gesto umano diventa portatore di concetti stratificati. È un’indagine sul significato profondo dell’azione: che cos’è un gesto? Che cosa significa ripeterlo ogni giorno? Pankratova suggerisce che proprio in questi atti – tanto semplici quanto universali – si nasconde il senso più autentico del legame con il presente. E come nel gioco, ogni ripetizione introduce una variazione, una possibilità di riscrittura e invenzione.
L’artista attinge alla tradizione teatrale, facendo emergere parallelismi con le funzioni narrative di Vladimir Propp. Ogni gesto o oggetto diventa parte di un gioco di ruoli, un elemento di una sceneggiatura aperta che si compone nella mente dello spettatore.
La luce gioca un ruolo fondamentale in questo teatro dell’ordinario: è una lanterna magica che svela e trasforma. Riflettendosi su superfici e oggetti, la luce diventa metafora del rapporto con il visibile e l’invisibile, dell’interazione tra ciò che è con ciò che rimane nascosto. Le ombre, allo stesso modo, sono frammenti del non-detto, del non-visibile, che si insinuano nelle pieghe della realtà, aggiungendo profondità e mistero.
Le opere si configurano come stanze, come una sorta di spazio di contemplazione dotata di una nuova veste. Il semplice atto di guardare diventa rituale, un invito a soffermarsi sul dettaglio, cogliendo la magia che si nasconde nell’ordinario.
In questo senso, il teatro dell’ordinario non è solo una rappresentazione, ma un’esperienza sensoriale e meditativa: un richiamo alla capacità di attribuire significato agli atti più semplici.
La tecnica pittorica dell’artista, fatta di sottili stratificazioni di colore, contribuisce a creare l’illusione di uno spazio reale, lucentezza e oscurità. Ogni piega di tessuto, ogni riflesso, è reso con tale precisione che lo spettatore è spinto a interrogarsi non solo sul pensiero dell’immagine, ma sul proprio rapporto con essa. È come se ogni tela fosse una finestra su un mondo parallelo, in cui il confine tra realtà e immaginazione si dissolve.
Si intrecciano il profano e il sacro. E in questo fragile equilibrio tra dimensioni apparentemente opposte si generano spazi nuovi, aperti all’interpretazione.
Evgeniya Pantrokva dialogando sulle opere cita Roland Barthes: lo spazio interiore è il luogo della lotta contro i demoni, ma anche un’isola di serenità. Infatti, per l’artista in ogni scena si racchiude una tensione tra conflitto e quiete, tra il dramma del vivere e la serenità dell’osservare.
il teatro dell’ordinario, in tal caso, è un invito a guardare con occhi nuovi, in una nuova meraviglia. Ci ricorda che la dinamicità di un atto, per quanto piccolo e ripetitivo, ha significato, storia e poesia.
Le opere diventano connessione in ciò che siamo e con ciò che facciamo, perché dopotutto è negli atti più semplici che si nasconde il nostro senso di essere al mondo.
Biografia
Evgeniya Pankratova (nata nel 1997 a Mosca) vive e lavora a San Donà di Piave, Italia. Si è laureata al Moscow Academic Art College in Graphic Design e all'Accademia di Belle Arti di Firenze in Grafica d'Arte. Ha svolto residenze d'artista presso La Fondazione Arti Visive di Pietrasanta e Kulturvermittlung Steiermark a Graz. Attualmente collabora con la galleria Mimmo Scognamiglio di Milano, con la quale ha partecipato ad una mostra collettiva e a diverse fiere d’arte in Italia. Ha esposto in diversi spazi come la Galleria Tretyakov di Mosca, Rea Art Fair a Milano, Curating The Young a Ghent, in Belgio, e LINLI Art Space a Venezia.Nel 2023 è stata finalista del Premio Arte Laguna 17 nella categoria pittura, e le sue opere si trovano in collezioni private in Italia, negli Stati Uniti, in Russia e in Austria
testo critico di Matteo Di Cintio
a cura di Simone Marsibilio
Dal 13-04 al 11-05.25
Opening 13 Aprile 2025 dalle ore 11.00 alle 20:00
Orari apertura: sabato e domenica 11-13 17-20
/f urbä/
Via Tripio 145, Guardiagrele (Ch)
/f urbä/ presenta il progetto opera mia + opera mia di Christian Ciampoli accompagnato dal testo critico di Matteo Di Cintio e curatela di Simone Marsibilio. La mostra sarà visitabile dal 13 aprile fino al 11 maggio. L’opening della mostra sarà domenica 13 aprile dalle 11 di mattina.
“Più che l’avvenuta e compiuta cancellazione, negazione dell’immagine, possiamo osservare la prassi del sottrarre in atto: l’immagine diventa nebbiosa, perde i suoi contorni, si fa sempre più rarefatta, come se il compito dello scordare fosse ancora in divenire. [...] Cos’è fattualmente questo lavoro artistico se non un reliquiario moderno, volto a contenere i resti non della nostra santità, ma del nostro perenne rinnovamento?”
Così scrive Matteo Di Cintio nel suo testo - Negare e separare: vie negative per adempiere all’incompiuto. Riflessioni su modus tollens per la mostra di Christian Ciampoli a Studio 54.
In tal caso, il Modus tollens è un processo di cancellazione, direzionato verso le molteplici dinamiche del reale e su ciò che il supporto mediatico può svelare. Il fulcro dell’indagine si rivela nelle azioni di ri-appropriazione dell’oggetto e in materiali che ruotano attorno alla percezione modificata del ricordo, rimandando ai temi della decostruzione e costruzione architettonica dell’immagine, contrapposta alla sua stratificazione o legandosi alle tematiche di produzione e trasformazione della materia organica e artificiale, fino ad ostendere la fenomenologia della reliquia.
Per questa prima mostra del 2025, /f urbä/ accoglie le opere di Christian Ciampoli dove la sua pittura incontra il passato in un dialogo profondo e trasformativo. La mostra opera mia + opera mia, propone non solo una riflessione sull’autorialità e la trasformazione, ma anche un viaggio unico attraverso la memoria e l’azione artistica.
Partendo da un episodio personale ed una sua azione personale – un trasloco lungo la costa abruzzese – Ciampoli trasforma l’esperienza in una narrazione artistica: è in questo contesto che il Gran Sasso, ora avvolto dalla nebbia, ora vivido, diviene metafora centrale del lavoro esposto: l’alternarsi di presenza e assenza.
Al centro della mostra, le opere del pittore teramano Brunori, noto per le sue nature morte degli anni '80, diventano il terreno di intervento dell’artista. Le tele firmate "opera mia" da Brunori, con un pennarello nero scarico, vengono reinterpretate da Ciampoli attraverso un processo di sottrazione e trasformazione. Non un atto distruttivo, ma un atto creativo, che trasfigura l’opera originale in una nuova narrazione visiva, intrisa di memoria e interferenza.
Come il Gran Sasso che emerge e si ritira, l’immagine originaria di Brunori riaffiora sotto le stratificazioni di Ciampoli, non cancellata del tutto, ma trasfigurata. L’interferenza cromatica, la frammentazione e la modulazione diventano il linguaggio visivo attraverso cui Ciampoli dialoga con la memoria, trasformandola in un sistema aperto e fluido.
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/f urbä/ acronimo di fondazione urbana – è un progetto che ha la volontà e l’obiettivo di aprirsi ad una dimensione contemporanea in un contesto urbano, per condividere l’arte ospitando realtà artistiche diverse.
Il progetto si struttura all’interno di uno spazio versatile in cui artisti in tutte le loro forme di espressione possono dialogare e mettere in campo le proprie idee creando nuovi punti di vista a partire dalla condivisione e la collaborazione.
Via Tripio,145 Guardiagrele(Chieti)
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